Quando si pensa a Giacomo Leopardi, viene subito in mente il grande poeta del pessimismo, della fragilità esistenziale e della malinconia infinita. Difficilmente lo si associa spontaneamente all’idea di sport o di movimento fisico. Eppure, ad un’analisi più attenta, Leopardi ha elaborato una visione della vita in cui il dinamismo, l’azione e persino l’esercizio corporeo assumono un ruolo centrale e sorprendentemente attuale, trasformandosi da semplice attività fisica a forma di resilienza contro la sofferenza universale dell’esistenza.
Il male di vivere e la necessità del movimento
Nei suoi scritti, in particolare nello Zibaldone, Leopardi esplora uno dei grandi drammi umani: l’insaziabile desiderio di felicità e l’inevitabile delusione che ne deriva.
L’uomo, spinto dalla sua natura, aspira a un piacere assoluto, infinito, che tuttavia il mondo reale non può mai offrire.
In questo contesto, il poeta introduce un concetto chiave: la noia.
La noia, per Leopardi, non è semplice mancanza di distrazione, ma una vera e propria esperienza del nulla, una consapevolezza dolorosa dell’impossibilità di realizzare i nostri sogni più profondi.
Qual è la soluzione che egli propone? Il movimento.
Leopardi non invita alla passività né alla resa. Al contrario, suggerisce che l’azione continua, il “darsi da fare”, il “muoversi”, sia l’unico antidoto alla paralisi esistenziale.
In altre parole, muoversi è vivere. Restare fermi, immobili, equivale a cedere al nulla.
Pur afflitto da gravi problemi di salute, Leopardi comprendeva intimamente il valore del corpo come mezzo per affrontare l’esistenza.
Nonostante il suo fisico malato, non disprezzava il corpo, né lo vedeva come inferiore alla mente: al contrario, considerava il corpo uno strumento fondamentale per mantenere viva la tensione vitale.
Lo sport, inteso come movimento consapevole e disciplinato, risponde perfettamente a questa esigenza.
L’atleta non elimina il dolore, non sconfigge la mortalità, ma si oppone al decadimento attraverso l’azione.
Ogni allenamento, ogni competizione è un atto di ribellione contro l’entropia, contro la fine inevitabile.
Come scrive Leopardi:
“Il piacere maggiore è il movimento stesso.”
Lo sportivo incarna, nel gesto atletico, la filosofia leopardiana: non si vive per raggiungere la felicità, ma per combattere la stasi, per onorare la vita attraverso il movimento.
Lo sport come arte dell’illusione attiva
Leopardi riconosceva il valore delle illusioni come strumenti di sopravvivenza. Secondo lui, vivere significa coltivare illusioni: sogni, speranze, mete. Anche se sappiamo che saranno deluse, esse danno senso e slancio alla vita.
Lo sport è, in questo senso, una delle illusioni più nobili: l’illusione di poter migliorare sempre, di poter superare i limiti del corpo, di poter vincere il tempo, almeno per un istante.
L’atleta, come il poeta, crede nell’illusione e vive di essa, sapendo che è proprio questa tensione verso l’irraggiungibile a dare significato all’esistenza.
Nel componimento più celebre di Leopardi, L’infinito, il poeta ci pone di fronte a una grande riflessione poetica:
“E il naufragar m’è dolce in questo mare.”
Questo “naufragio dolce” è l’immersione totale nell’infinito, nell’oltre, nell’assoluto.
E anche nello sport ritroviamo questa spinta: Superare la fatica, varcare la soglia della resistenza fisica e tuffarsi nell’ignoto della propria forza e dei propri limiti.
Ecco che l’atleta, sperimenta lo stesso sentimento: il gesto atletico si trasforma in esperienza dell’infinito.
Leopardi, lo sportivo dell’anima
In definitiva, il pensiero leopardiano ci insegna che vivere è muoversi, resistere, spingersi oltre, anche a costo di sapere che la perfezione non sarà mai raggiunta.
Non lottiamo perché possiamo vincere per sempre, lottiamo perché lottare è vivere.
In fondo, essere atleti, come essere poeti, significa amare la vita anche nel dolore, e trovare nel movimento il senso più alto della nostra presenza al mondo.